sabato 30 dicembre 2017

I bonsai

I bonsai sono alberi in miniatura, che vengono mantenuti intenzionalmente nani, anche per molti anni, tramite potatura e riduzione delle radici. Con questa particolare tecnica di coltivazione si indirizza la pianta, durante il processo di crescita, ad assumere le forme e dimensioni volute, anche con l'utilizzo di fili metallici guida, pur rispettandone completamente l'equilibrio vegetativo e funzionale.





Nonostante la parola 'Bon-sai' sia giapponese, l'arte che descrive, ha origine durante l'impero cinese. Entro l'anno 700 d.C. i cinesi avevano iniziato l'arte del 'pun-sai', utilizzando tecniche speciali per crescere alberi nani in vaso.
Originariamente solo l'élite della società praticò il pun-tsai con esemplari autoctoni raccolti e gli alberi furono distribuiti in tutta la Cina come regali di lusso. Durante il periodo Kamakura, nel quale il Giappone adottò la maggior parte delle tradizioni culturali della Cina, l'arte di coltivare alberi in vaso venne introdotta in Giappone. I giapponesi svilupparono il Bonsai secondo certi principi a causa dell'influenza del Buddismo zen e del fatto che il Giappone è solo il 4% delle dimensioni della Cina continentale. La gamma delle forme del paesaggio fu quindi molto più limitata. Molte famose tecniche, stili e strumenti furono sviluppati in Giappone traendo spunto da quelli originali cinesi. Sebbene conosciuto in misura limitata al di fuori dell'Asia per tre secoli, solo recentemente il Bonsai si è diffuso veramente fuori dalle sue terre di origine.

https://www.bonsaiempire.it/origine/origini-bonsai







I primi bonsai furono coltivati nel VI secolo dopo Cristo dai popoli nomadi di origine mongola che dominavano la Cina: facevano crescere piante medicinali nei vasi per poterli trasportare nelle migrazioni.
La pratica di miniaturizzare gli alberi però è probabilmente più antica e risale a una pratica di oltre 2.000 anni fa, chiamata Penjing, che consisteva nel comporre paesaggi con miniature di monti, fiumi e alberi. Il bonsai più antico mai ritrovato, infatti è stato rinvenuto in una tomba risalente a tremila anni fa.



La coltivazione dei bonsai come vera e propria arte fu sviluppata, attorno al 700, dai monaci buddisti cinesi, che applicavano ai mini- alberi i principi della loro filosofia: l’uomo doveva ridurre alla sua capacità di visione ciò che lo circonda, miniaturizzando non solo l’albero, ma anche il paesaggio su cui cresce. Altre scuole invece vedevano nei tronchi contorti e nati su una pietra la nascita della vita nonostante le avversità. Tronchi e rami potevano anche essere piegati per creare ideogrammi o numeri magici.




MITO E REALTÀ. Secondo una leggenda, la nascita dell’arte del bonsai risale al periodo Han (206 a. C.- 220 d. C.), e a iniziarla sarebbe stato un uomo dotato del potere di miniaturizzare i paesaggi. Ma la prima testimonianza certa si trova in un dipinto rinvenuto nella tomba di un nobile della dinastia Tang, morto nel 705 d. C., dove sono raffigurati due uomini che portano un contenitore con un piccolo albero. Nel periodo successivo, intorno al 1000, si diffusero composizioni di paesaggi, con pietre e figure, chiamate pun-wan o bonkei. Il modo di coltivare gli alberi si differenziò in varie scuole, a seconda delle dimensioni, delle varietà utilizzate e delle forme in cui gli alberi venivano piegati. I bonsai arrivarono in Giappone, probabilmente con i monaci buddisti, nel periodo Heian (794-1185 d. C.).
https://www.focus.it/ambiente/natura/quando-e-da-chi-sono-stati-inventati-i-bonsai-sp1-2017




















Personalmente non capisco la bellezza di questa forma di arte. Probabilmente poichè vivo in una cultura molto diversa da quella orientale, mi è  troppo difficile coglierne il significato intrinseco. A me sembra che sia un po' come se una mamma volesse fare di tutto per far diventare nano il proprio figlio: inconcepibile! Ma il mondo è bello perchè è vario e non è detto che io abbia ragione.

giovedì 28 dicembre 2017

La rosa di Gerico

Ho incontrato il nome di questa pianta mentre mi aggiravo nel web in cerca di nuove leggende sul Natale: veniva riferita per qualche motivo non meglio precisato alla Vergine Maria, ma quell'accostamento tra la regina dei fiori e una delle città più antiche al mondo sollecitava la mia curiosità a voler sapere qualcosa di più sul suo conto.
Ecco dunque cosa ho trovato:
Innanzi tutto ci sono due piante diverse che portano lo stesso nome: una viene definita volgarmente "rosa di Gerico vera", il cui nome scientifico è Anastatica hierochuntica della famiglia delle Brassicaceae,



mentre l'altra viene detta "rosa di Gerico falsa" ed è scientificamente chiamata  Selaginella lepidophylla.       





La storia di entrambe ha a che fare con il deserto, ma in continenti diversi, estremamente lontani l'uno dall'altro.
La prima, quella definita vera, è diffusa nelle zone desertiche del Medio Oriente e del Nord Africa, come la Siria, l'Arabia e l'Egitto.
La seconda invece, quella definita falsa, proviene dalle zone desertiche dello Stato di Chihuahua, al confine tra USA e Messico.




Altro elemento in comune è l'appellativo che le identifica proprio per il loro inconsueto ciclo vitale : pianta  della resurrezione.
Ed ecco perché:

- la rosa di Gerico vera è una pianta molto piccola, con una sola radice lunga fino a 20 centimetri, dalla quale si diramano molti rami, tutti rasenti il suolo. Le sue foglie sono rade, piccole e grigiastre e durante  la stagione delle piogge, nella parte più interna della pianta, spuntano piccoli fiori che custodiscono i semi.
Quando però inizia la siccità, la pianta si disidrata e progressivamente ripiega i suoi rami in una sorta di palla compatta in cui vengono custoditi i semi. Quando la pianta è ormai morta, il vento strappa la sua unica radice e la trascina qua e là per il deserto, senza però disperdere i suoi semi dormienti.
Appena la pioggia ricomincia a cadere, ecco che i semi si destano dal loro lungo sonno e iniziano a germogliare e a dar vita a nuove piante: una rinascita che ha il sapore di una resurrezione.
 



- la falsa rosa di Gerico viene anch'essa associata alla resurrezione per la sua capacità di adattarsi a lunghi periodi di siccità, per poi rigenerarsi a contatto con l'acqua. 

Anch'essa, in assenza di umidità si chiude a palla per poi ritornare verde non appena ha riacquistato i suoi liquidi.
Essendo una pianta ormai molto commercializzata, non è necessario andare nel deserto per seguire da vicino il suo particolare ciclo biologico, che ha un nonsoché di magico.

Se la si pone in un piatto fondo quando è secca e si aggiunge un po' d'acqua, nel giro di poche ore inizierà a schiudere i suoi rami e acquisterà colore. Ovviamente in assenza d'acqua tornerà a richiudersi.

 





 

Se la Selaginella viene coltivata in piena terra , con la giusta umidità, diventa sicuramente più rigogliosa e può vivere a lungo.
 
 
La rosa di Gerico vera fu introdotta in Europa dai crociati che forse, già nella sua terra d'origine,  avevano sentito parlare delle sue doti terapeutiche in relazione alla sfera sessuale femminile. In un contesto cristiano poi era probabilmente nata una correlazione con la consuetudine di considerare Sant'Anna, la madre di Maria, come protettrice delle partorienti; portare una rosa di Gerico, capace di aprirsi con facilità, ad una partoriente, in alcune regioni era considerato un gesto di  buon auspicio.
 
Al di là di ogni fantasiosa leggenda resta comunque l'incredibile stupore che la natura sa suscitare in noi ogni volta che ci capita di osservarla da vicino.

martedì 26 dicembre 2017

Berretti invernali

E' arrivato il freddo e io volevo parlavi del berretto che, ahimè, da un po' di tempo sento necessario, nonostante la gran massa di capelli che mi tiene calda la cucuzza.  E' finita l'epoca dei capelli al vento...ma mi consolo perchè non sono la sola ad utilizzare un copricapo invernale. 
Ho trovato un vecchio articolo su questo blog: http://www.lecornacchiedellamoda.com/fashion-molto-piu-di-un-berretto/e lo copio qui perchè anche se è passato qualche anno da quando è stato scritto, mi sembra tutt'ora attuale:

Non chiamatelo cappello, nemmeno berretto, si chiama beanie.
Non più solo accessorio antifreddo, ma dettaglio superfashion. Da indossare in mille modi diversi, supercalzato fin sulle sopracciglia o appena appoggiato quasi a scaldare solo il cervelletto.
Questa stagione ha conquistato davvero tutti e mi piace parlare nuovamente di accessorio unisex. Ancora una tendenza democratica, universale, trasversale e che abbatte ogni distinzione. Tricot, lana cotta, mini o oversize. Mille sono le sue interpretazioni e sulle passerelle lo abbiamo visto sfilare rivisitato in tanti modi.
Se per anni è stato un must confinato alle piste da sci dove la grandezza del pon pon era proporzionata a quella del portafogli, dove più era lungo e strano più eri folle, adesso non contano le temperature percepite, l’importante è averlo.
Ma non dimentichiamo che viene da lontano e c’è chi lo indossa da decenni senza mai tradirlo, chi ne fa un dettaglio distintivo per la propria immagine senza badare ai trend.
Un altro accessorio senza tempo (e sesso).