mercoledì 31 luglio 2013

Right from Scotland

Il post di Dindi sulle trapunte mi ha fatto pensare, per uno strano accostamento di idee che non saprei spiegare, al tartan e a tutto ciò che ruota intorno a questa parola.



Il tartan è un particolare disegno dei tessuti in lana delle Highlands scozzesi, ottenuto con fili di colori diversi che si ripetono secondo uno schema ben preciso sia nella trama che nell'ordito. In Italia, per via della sua innegabile origine, viene chiamato sbrigativamente scozzese.


Anticamente i colori erano ottenuti da tinture vegetali ricavate facendo macerare varie radici di piante locali, muschio e fiori. Oggi si usano tinture chimiche per ottenere le varie sfumature.
Non si conosce l'origine esatta di questa forma di tessitura così particolare, ma sicuramente è molto antica.
Al di là dell'aspetto formale, ciò che caratterizza questo tessuto è il forte senso di appartenenza che ha generato negli abitanti delle Highlands nel corso dei secoli. In particolare nel XVII e XVIII secolo diventa un simbolo di identità nazionale estremamente diffuso. Tanto profondo è il suo significato simbolico che in più di una circostanza si proibì di indossarlo, nel tentativo di sedare lo spirito rivoluzionario di chi lo portava.


Nel 1746, dopo la ribellione giacobita volta a ristabilire gli Stuart sul trono di Scozia e d'Inghilterra, l'uso del tartan fu vietato per circa 40 anni: nessun uomo, a parte i pubblici ufficiali  e i soldati, potevano indossarlo, e già secoli prima alle donne giacobite era stato vietato di indossare il tradizionale "arisaid", una sorta di sciarpone in tartan che copriva la testa e scendeva fino alle caviglie.

Fino alla metà del XIX secolo gli highland tartan erano associati a regioni o distretti, ma nel 1815 la Highland Society of London decise di procedere con la registrazione dei clan tartan ufficiali.
La società scozzese tradizionale era organizzata in clan, parola che deriva dal gaelico scozzese clann, che può significare "bambino", "progenie" o "discendenti", che sottolinea il senso di legame familiare.
I clan si identificavano sulla base di aree geografiche originariamente controllate da un chief (capo) e caratterizzate dalla presenza di un antico castello o maniero.
Ogni clan era un gruppo esteso di persone, teoricamente una famiglia estesa, presumibilmente tutti discendenti da un unico progenitore e tutti legati da un patto di fedeltà al capo.
Quando iniziò la registrazione dei clan tartan, molti capi non avevano idea di quale fosse il proprio tartan, ma erano comunque desiderosi di "qualificarsi", perciò li indicarono con una certa approssimazione ma da quel momento il tartan divenne un importante segno distintivo.
Esistono  altre categorie di tartan registrati per famiglie, distretti , istituzioni e anche per commemorare particolari eventi.




Il kilt, il tipico gonnellino scozzese, è realizzato in tartan.

 
Anticamente si chiamava breacan  o great kilt e apparve per la prima volta nel XVI secolo . Era un indumento lungo fino ai piedi , come una specie di coperta, e nella parte superiore poteva essere avvolto intorno alle spalle o addirittura posto sopra il capo.
Nel 1720 circa , dopo aver osservato quanto inadatto fosse questo indumento per gli uomini che lavoravano nelle torbiere delle Highlands, un inglese del Lancashire , tale Thomas Rawlinson, inventò il philibeg, o small kilt, molto simile alla versione moderna.





Si tratta di una gonna a portafoglio, cioè sovrapposta, lunga fino alle ginocchia, pieghettata sul dietro e sui fianchi, liscia sul davanti, che si allaccia di lato con fibbie di pelle e fissata con una grande spilla.
Come si vede nell'immagine , con il kilt viene indossato anche lo sporran che è una specie di piccola borsa di cuoio per piccoli oggetti.
La tradizione dice che " a true Scotsman should wear nothing under his kilt." ma la Scottish Tartan Authority ha raccomandato recentemente di indossare la biancheria intima per motivi di decoro e di igiene.



Nel ricercare notizie e immagini sull'argomento mi sono imbattuta in qualcosa che mi era completamente sconosciuto, cioè il tartanware.
Nel 1822, re Giorgio IV si recò in visita ad Edimburgo e su suggerimento dello scrittore Walter Scott, indossò e fece indossare al suo seguito l'abbigliamento tradizionale delle Highlands. Fu un successo, e a seguito di questo evento la popolarità degli Scottish Tartans conobbe un grande revival.
Poco tempo dopo anche la regina Vittoria e il principe Alberto si innamorarono della Scozia e di tutto ciò che era scozzese tanto che arredarono la nuova residenza di Balmoral con tessuti tartan.
Il tartan diventò l'elemento decorativo più popolare per i souvenir delle Scozia che venivano dipinti a mano sui vari oggetti.





 























Presto a Mauchline i costruttori di scatole di legno di sicomoro inventarono delle macchine che stampavano i tartan  su carta. Incollando la carta sulle scatole la produzione aumentava e i costi diminuivano e così  tutti potevano visitare la Scozia e tornarsene a casa con un souvenir alla moda.


Oggi gli oggetti tartanware sono oggetto da collezione e ovviamente i più antichi, dipinti a mano, si trovano presso i più famosi antiquari.  







 

 

 
 


















 
 

  


Karina Belikova





Di questa illustratrice ucraina non ho trovato proprio niente. Ho soltanto letto  che ha illustrato una settimana della moda, ma non ho visto dove. A Milano? A parigi? Mah!?  Sono ignorante in materia di moda e stilisti, quindi.... Comunque, poichè i suoi disegni mi sono piaciuti, li ho salvati per condividerli. 
























































































martedì 30 luglio 2013

Trapunte



Dopo la lettura del libro L'ultima fuggitiva, sono andata a curiosare un po' nel mondo delle trapunte e naturalmente la fonte maggiore di informazioni è, come al solito, wikipedia.


La trapunta è una coperta formata da tre strati di stoffa cuciti insieme con delle impunture (quilting) e chiusi mediante uno sbieco. I tre strati che formano il quilt sono il top, l'imbottitura e il fondo.









La parte più importante della coperta è il top, che è al centro del lavoro di progettazione. Solitamente il top viene lavorato a patchwork ( lavoro con le pezze) che consiste nell'unione di più pezzetti di stoffa di vari colori tramite cucitura.

La lavorazione si compone di diverse fasi: si prepara in scala il disegno di quello che si vuole realizzare, poi il top va diviso in blocchi che a loro volta vanno divisi in pezzi, poi si taglia la stoffa, si dimensionano i vari pezzi e si passa all'assemblaggio e, dove necessario, alla trapuntura.

Lo spazio centrale può essere un medaglione di piccole dimensioni, oppure può dominare il top ed essere circondato da un bordo.





I pionieri americani riciclavano le parti in condizioni migliori dei 
capi ormai consunti usandoli per la riparazione di altri capi o per la
 realizzazione di nuovi, in particolare le coperte imbottite con foglie
di tabacco, cotone, ecc. Ciò era dovuto alla scarsità di tessuti locali 
nei primi tempi delle colonie e all'alto costo delle stoffe importate.
 Il quilt, comunque, non nasce in America perchè la tecnica era 
usata anche in Europa, principalmente in Inghilterra, fin da prima 
del medioevo e dove, talvolta, si usavano stoffe pregiate, come la 
seta.






La lavorazione di un quilt era spesso un'attività comune, che coinvolgeva donne e ragazze della famiglia e anche di una comunità più vasta.

Ogni ragazza doveva prepararsi un dato numero di coperte da portare in dote al momento del matrimonio.

Una coperta poteva essere cucita per vari motivi, come festeggiare una ricorrenza, ricordare un avvenimento importante, oppure poteva essere data in dono ad una persona che si trasferiva in un'altra comunità. In alcuni casi le trapunte recavano i nomi delle persone che offrivano il regalo a chi emigrava o al pastore che cambiava parrocchia. Si facevano anche trapunte da vendere all'asta per raccogliere denaro per progetti comuni o per beneficenza.




Una tecnica diversa è l'applicazione, dove su un fondo uniforme si applicano pezzi di stoffa che formano un disegno.





Gli stili dei quilt sono molto vari : amish, baltimora, afro-americano, hawaiano, nativo americano, seminole, stile pazzo.

Lo stile cambia anche a seconda della nazione in cui viene lavorato: europeo, inglese, italiano, provenzale, mola (Panama e Colombia),cinese, giapponese, del Bangladesh, delle isole Cook, pakistano, egiziano.































Troppo lungo sarebbe spiegare tutte le differenze di tecniche e stili. Anche perchè, sinceramente, non ci ho capito molto, dato che l'argomento mi è del tutto sconosciuto. Bisogna sapere, comunque, che il quilting è considerato un'opera d'arte di cui si fanno mostre e collezioni.

Appena sposata ho avuto anche io la mia trapunta patchwork! Non era fatta a mano, ma era soffice, calda e...rossa! Nel tempo l'imbottitura sembra essersi consumata, infatti oggi la coperta non ha più quell'aspetto soffice di un tempo; qualche quadrato ha dovuto essere sostituito perchè quello vecchio si è tagliato....insomma non è più la stessa di prima. Ma poichè nemmeno io sono più quella di quarant'anni fa, la tengo amorevolmente riposta nell'armadio: a disfarsene ci penserà qualcun altro!




top






Fondo



lunedì 29 luglio 2013

Tante crocette nel cuore 5


Nessuna  rivista o comunque nessuna pubblicazione a stampa sarà mai in grado di sollecitare le stesse emozioni che suscita il contatto ravvicinato con un ricamo eseguito con cura e personalità.
Quando ieri scrivevo dell'abilità delle ricamatrici francesi nel creare e realizzare lavori a punto croce, mi riferivo proprio ai bellissimi manufatti esposti sia nelle grandi mostre di Parigi o Digione, sia nelle piccole mostre come quella vista a Beaulieu, oppure amorevolmente custoditi nel granaio delle case di campagna da mostrare ai pochi occasionali turisti di passaggio.
Di queste mostre Dindi ed io abbiamo già ampiamente parlato nel blog con tante immagini scattate a supporto dei nostri commenti.
Oltre ai temi classici del cuore e dell'alfabeto, ho notato, sfogliando il materiale raccolto nel tempo, che  nella produzione di schemi di matrice francese viene dato grande spazio sia alla montagna , alla sua fauna e alla sua  flora, alle case conosciute ovunque con il nome di chalet , sia all'ambiente contadino, con animali , attrezzi e attività agricole. E' un po' come se il mondo reale venisse trasferito sulla tela da ricamo con grande naturalezza.











 E a casa nostra ? Purtroppo la mia esperienza si limita al nord dell'Italia, ma per quanto ne so anche le crocettiste italiane sono molto attive. Tra l'altro esiste una Associazione Italiana del Punto Croce che organizza e promuove varie mostre, ad esempio a Baveno , dove con Dindi siamo state più d'una volta. 




I lavori che vengono esposti nelle numerose manifestazioni che abbiamo visitato mostrano una grande abilità esecutiva ma anche una maggiore individualità, a me pare, rispetto a quanto notato negli altri paesi. 
E a proposito di quanto si è detto sull'interesse maschile  per il punto croce, mi vengono in mente gli schemi creati da Renato Parolin, i suoi alberi, i suoi cuori , i suoi uccellini, una rielaborazione continua degli stessi elementi che li rende riconoscibili a prima vista.











Mi rendo conto che quest'ultima puntata dedicata al punto croce è una puntata in bianco e nero, piena di grigi fantasmi.
In realtà non è così : lo schema è prima di tutto un sogno, una sottile ragnatela che aspetta di essere trasformata in realtà, non una, ma cento, mille realtà, tante quante sono le crocettiste che sulla quella griglia lasciano la mente e il cuore e, ahimè, anche la vista...

A tutte loro va il mio grazie, per aver saputo mantener vivo in me l'interesse per questa attività che, oltre ad essere divertente e rilassante , è anche scuola di pazienza e di umiltà.