sabato 25 maggio 2013

Radici

Come ho già avuto modo di raccontare tempo fa in questo blog, è stata la guerra a determinare il luogo della mia nascita, dal momento che i miei genitori, costretti a lasciare la loro casa per sfuggire ai frequenti bombardamenti che mettevano a repentaglio le loro vite, si erano trasferiti momentaneamente altrove.
Radici fragili dunque le mie, tanto più che solo sei mesi dopo, terminata la guerra, la famiglia era tornata là dove poi sono cresciuta. Di quel paese dunque, che di fatto non ho mai conosciuto, è rimasto solo il nome stampato sui documenti di identità che mi accompagnano da una vita.
In questi giorni, curiosamente, per una serie di circostanze assolutamente banali, mi sono ritrovata a scoprire cose di quel paese che mi hanno piacevolmente sorpreso e che nello stesso tempo mi hanno fatto sentire un po' in colpa per l'indifferenza  da me dimostrata in tanti anni nei suoi confronti, nonostante si trovi solo a pochi kilometri dal luogo in cui vivo.




Va detto, a onor del vero, che il nome del paese, Strozza, non è dei più accattivanti - per non parlare delle ambiguità che dallo stesso potrebbero gravare sul nome dei suoi abitanti - ma il toponimo nasce proprio dalla sua posizione, là dove i monti si avvicinano notevolmente creando una strozzatura, per poi aprirsi in quella che è la Valle Imagna.

Le sue origini risalgono approssimativamente all'anno 1000 ed è in epoca medievale che il paese comincia ad assumere un fisionomia ben precisa.

Ancora oggi, si può ammirare il piccolo borgo medievale di Amagno, a cui si accede per l'androne che sottopassa la Cà del Maestro, con una piazzetta lastricata in pietra su cui si affacciano un'austera ed elegante torre medievale e la secentesca Cà del Maestro, con al piano terra un porticato con due grandi archi, sostenuti da un poderoso pilastro centrale, e al primo piano una loggetta sorretta da una serie di eleganti colonnine.




Sul fondo della piazzetta, protetta da un ringhiera , c'è la botola della "Ghiacciaia".
E' proprio questo elemento che ha suscitato la mia curiosità.

Con il nome "Ghiacciaia" si fa comunemente riferimento a quelle piccole credenze, ad uso prevalentemente domestico, predisposte per contenere,  per un tempo limitato, blocchi di ghiaccio per la conservazione dei cibi, in altri termini, la "nonna"  dei nostri moderni frigoriferi.
Io stessa ne conservo un esemplare nella mia cucina, che utilizzo ovviamente per altri scopi.




Il termine Ghiacciaia invece fa riferimento anche ad un vero e proprio ambiente in cui veniva  anticamente prodotto e/o immagazzinato il ghiaccio , deviando ad esempio le acque di un fiume e sfruttando l'azione della temperatura ambientale, sotto lo zero termico in inverno.

Pare che nel Nord dell'Italia, in particolare nelle zone montane, queste ghiacciaie , dette anche giazzere o giazer, fossero utilizzate fin dal XVI secolo, ma poche di loro sono sopravvissute.

La ghiacciaia di Cornaredo (MI)


Giazzera veneta sul Monte Grappa

 Nella contrada di Amagno, a Strozza, si può visitare una di queste strutture, rimasta intatta, nonostante abbia un paio di secoli o forse più.



 
 
 
Prima dell'apertura al pubblico della Ghiacciaia, pochi conoscevano il segreto che si celava nella Cà del Maestro: un condotto sotterraneo lungo dodici metri partiva da uno dei locali posti sul lato della strada e portava ad un vano di forma cilindrica con copertura a volta, adibito a ghiacciaia.
Le sue dimensioni sono modeste, tre metri di larghezza per sei di altezza e, nel caso specifico il nome ghiacciaia forse è improprio; meglio sarebbe "nevera" dal momento che al suo interno, tramite la botola, nei mesi invernali veniva introdotta la neve. Il nobile del paese dava mandato ai valdimagnini di Strozza di prelevare con la gerla la neve nei prati circostanti e caricare il grande frigorifero; poi quando in maggio e giugno il caldo si faceva sentire, l'addetto, munito di lanterna, apriva e subito chiudeva le tre porte poste lungo il cunicolo di accesso e si preparava ad utilizzare il fresco conservato.
All'interno la neve si era in parte sciolta e compattata fino a formare un unico blocco di ghiaccio. Per l'utilizzo si ponevano perimetralmente alla ghiacciaia delle mensole sulle quali venivano poi sistemate le derrate alimentari. Avendo cura di mantenere chiuse la botola e le porte, il grande frigorifero consentiva di conservare gli alimenti fino all'inverno successivo.
Ecco dunque che come mille altri luoghi in Italia , anche il mio paesino natale ha qualcosa di cui vantarsi.

Fonti : Wikipedia e http://www.museovaldimagnino.it






 





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